L'arte! L'arte! Che bella cosa questa vanità.
Il vero problema dello scrivere non è tanto di sapere ciò che dobbiamo mettere nella pagina, ma ciò che da questa dobbiamo togliere.
Nessuno, mai, riesce a dare l'esatta misura di ciò che pensa, di ciò che soffre, della necessità che lo incalza, e la parola umana è spesso come un pentolino di latta su cui andiamo battendo melodie da far ballare gli orsi mentre vorremmo intenerire le stelle.
Perché voler essere qualcosa quando si può essere qualcuno?
Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto.
Il futuro ci tormenta, il passato ci trattiene, ecco perché il presente ci sfugge.
La vanità sovente, come la gelosia, coincide con l'orgoglio.
La virtù non andrebbe molto lontano se non fosse accompagnata dalla vanità.
Purché un uomo non sia pazzo, si può guarirlo da ogni follia tranne la vanità.
Il male non è che una vanità: abbiamo l'orgoglio del bene e non disperiamo.
Credilo fermamente: tutto è vanità quello che non conduce a santità.
Le parole non bastano e sdraiarsi nel comodo letto della vanità ciarliera è come farsi smidollare da una cupa e sonnolenta meretrice.
Chi scrive contro la vanità vuole la gloria di avere scritto cose giuste, e i loro lettori la gloria di leggere cose giuste, e io che scrivo questo ho lo stesso desiderio, come forse anche coloro che lo stanno leggendo.
L'orgoglio è una bestia feroce che vive nelle caverne e nei deserti; la vanità invece, come un pappagallo, salta di ramo in ramo e chiacchiera in piena luce.
Che animale vorace è la vanità! Si nutre sia del successo che dell'insuccesso, della fortuna come della disgrazia, dell'amore come dell'odio, e in caso di necessità riesce a vivere del proprio grasso, diventando anzi ancora più grassa.
È tipico della vanità e dell'impertinenza dell'uomo definire stupidi gli animali perché appaiono così ai suoi sensi ottusi.