Finché si odia si ama ancora.

Alphonse Karr
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La nostra interpretazione

L’odio, in questo contesto, non è considerato il contrario dell’amore, ma una sua ombra, un riflesso capovolto che dimostra come il legame emotivo non sia ancora spezzato. Quando una persona prova ancora un sentimento così intenso da trasformare il dolore, la delusione o la rabbia in ostilità, significa che qualcosa continua a bruciare sotto la cenere. L’indifferenza sarebbe il vero punto finale: il momento in cui l’altro non ha più alcun potere di ferire, far soffrire o scuotere. Finché invece si reagisce, finché il nome, il ricordo o la presenza dell’altro scatenano un tumulto interiore, il cuore non è davvero libero. In questo paradosso emerge l’idea che l’amore non si spegne di colpo; cambia forma, si contorce, si maschera persino da rifiuto, ma resta un vincolo. L’odio diventa il segno di una lotta interiore tra il desiderio di staccarsi e l’impossibilità di farlo completamente. C’è un conflitto tra ragione, che vorrebbe chiudere, e sentimento, che insiste nel restare agganciato. In fondo, chi odia riconosce ancora all’altro un’enorme importanza, perché lo pone al centro dei propri pensieri, anche se in modo doloroso. Questo pensiero invita a interrogarsi su ciò che si prova davvero: se la rabbia non sia, in realtà, l’ultima difesa di un amore che non ha ancora trovato pace né conclusione.

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