Quella specie di coraggio ridicolo che si chiama rassegnazione.
Più grande è la noia della vita abituale, più sono attivi i veleni chiamati gratitudine, ammirazione, curiosità. Occorre allora una rapida, pronta ed energetica distrazione.
Un individuo anche mezzo scemo, ma che sia accorto, sempre prudente, assapora spesso il piacere di avere la meglio sugli uomini di immaginazione.
La peggiore disgrazia in prigione, è di non poter chiudere la propria porta.
In solitudine un uomo può acquisire qualsiasi cosa, ma non un carattere.
Di tutti i sentimenti, l'amore è quello che ha maggior bisogno di ozio.
Chi vuol vivere in pace vede, soffre e tace con pazienza.
Se uno ha davvero perso la speranza, non sarebbe così disposto a dirlo.
Rassegnarmi a tutto l'orrore d'una lunga prigionia, rassegnarmi al patibolo, era nella mia forza. Ma rassegnarmi all'immenso dolore che ne avrebbero provato padre, madre, fratelli e sorelle, ah! questo era quello a cui la mia forza non bastava.
Ciò che chiamiamo rassegnazione non è altro che disperazione cronica.
Cedo perché son piccino, ma non domando perdono perché ho ragione.
La desistenza avviliva questo slancio, spegneva queste passioni, spingeva tutti a rinchiudersi nel terrificante perimetro circondato dalle mura del «tengo famiglia» e «mi faccio i fatti miei».
Accade raramente che le cose vadano come le si desiderano, così a volte le accettiamo così come vengono.
Noi uomini siam in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile.
Esisteranno sempre l'intelligenza, la voglia di libertà, l'eros e le sale da ballo, ma la parola speranza non mi sento più di pronunciarla.
Per non avere progetti, cioè non nutrire desideri o speranze, accontentarti del tuo destino, di quello che il mondo ti dà da un’alba all’altra – per vivere così devi volere molto poco, il meno che sia umanamente possibile