Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio.
La lotta fine a se stessa basta a riempire il cuore dell'uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.
In fondo non c'è idea cui non si finisca per fare l'abitudine.
Come vivere senza qualche buona ragione di disperare!
Gli errori sono allegri, la verità è infernale.
Il contrario di un popolo civilizzato è un popolo creatore.
La felicità spinge al suicidio quanto l'infelicità, anzi ancora di più perché amorfa, improbabile, esige uno sforzo di adattamento estenuante, mentre l'infelicità offre la sicurezza e il rigore del rito.
Nessuno osa dire addio ad un'abitudine. Molti suicidi si son fermati sulla soglia della morte per il ricordo del caffè dove vanno tutte le sere a fare la loro partita a domino.
Si uccise lanciandosi contro una sega circolare. La TV era sul posto e riprese l'avvenimento. Il filmato fu mandato in onda a spezzoni.
Erano mosse apparentemente suicide. Ma erano il movimento di una zampa, o la flessione della schiena, o l'angolo di uno sguardo: intorno c'era l'animale, ed aveva un piano, ed era l'animale, l'unico, che sarebbe sopravvissuto.
Bisogna amarsi molto per suicidarsi.
A quel punto ricordò e le lacrime gli rigarono il volto, che non era cambiato quasi niente in tutti quegli anni. Morì di lì a poco per stanchezza di esistere. Che non è il suicidio diretto ma un lasciarsi andare lentamente, giorno dopo giorno, guardando lontano verso chissà quale ricordo.
I suicidi sono solo degli impazienti.
Chi si abbandona al dolore senza resistenza o si uccide per evitarlo abbandona il campo di battaglia prima di aver vinto.
Nessuno si è mai tolto volontariamente la vita. Il suicidio è una condanna a morte della cui esecuzione il giudice incarica il condannato.
Vi prego di lasciare la stanza se questo vi può turbare. No, no! Non fatelo! Non fatelo! State indietro. Si potrebbe far male qualcuno!