E' bello andare a teatro ed essere costretti a stare seduti e pensare alla vita. E' un'esperienza quasi religiosa.
Un bravo attore non fa mai la sua entrata prima che il teatro sia pieno.
Per non lasciar sguarnito il "mio" teatro, costrinsi Paolo Grassi a portare "I Giganti" a Catania. E lui, facendosi precedere dai tir della scenografia, obbedì.
In teatro il corpo deve essere sempre concentrato su tutto. Devi sempre sapere dove sono i tuoi piedi. Non è possibile concentrarsi su un particolare, bisogna mantenere tutto il personaggio in maniera costante.
A due anni mi portarono in scena dentro uno scatolone legata proprio come una bambola perché non scivolassi fuori. E così il mio destino fu segnato. Da "Pupatella" attraverso la poupée francese, divenni per tutti "Pupella" nel teatro e nella vita.
Il palco è lo strumento degli attori.
Dopo Barcellona, la mia città, La Scala è il teatro che amo di più. Alla Scala il teatro si sente: ogni sera è una emozione nuova.
Più il teatro è stato prestigioso, più epico l'inseguimento, più la miseria della sala vuota divora.
Il teatro è un po' come partire ogni anno per un piccolo servizio militare: mi piace fare uno spettacolo che rimanga di alta qualità nel corso di tutte le repliche, da Roma fino all'ultima provincia del nostro paese.
In teatro abbiamo le parole. E le parole hanno uno spazio, rimangono nell'aria. Si possono ascoltare, sentire, possiamo sperimentare il loro peso. Nel cinema, però, le parole sono relegate ad un secondo livello che le assorbe.
Dopo che mi ero sistemato avrei voluto fare un cinema più serio e mi sono messo a fare teatro, mi sono comprato la libertà: Feydeau, Shakespeare, Pirandello.