L’idea di fondo è che ciò che oggi viene chiamato sentimento non può trasformarsi, col passare del tempo, nel suo opposto più violento senza rivelare qualcosa di profondamente falso alla radice. Quando un legame nasce come esperienza viva, intensa, legata al presente, conserva sempre una traccia di autenticità, anche qualora finisca o si trasformi. Se invece l’esito a distanza è solo rancore, vendetta, disprezzo sistematico, allora ciò che veniva presentato come sentimento profondo era in realtà un travestimento, un errore di sguardo, una messa in scena. Il contrasto tra il momento e la lunga durata mette in luce il tema della responsabilità emotiva: ciò che si nutre di gioco, di leggerezza e forse di egoismo non può pretendere di scriversi nella memoria altrui come tragedia duratura. È anche una riflessione sulla coerenza affettiva. I sentimenti non sono contratti da cui uscire trasformando l’altro nel bersaglio di un’ostilità senza fine. Se accade, non è perché l’amore si è magicamente mutato in odio, ma perché fin dall’inizio mancava una dimensione profonda di rispetto. In questo senso, la durata dell’odio smaschera la superficialità del sentimento iniziale, mentre un amore vero, anche quando si chiude, lascia spazio a distanza, silenzio, persino malinconia, ma non alla caricatura feroce dell’altro.