Gli italiani sono un popolo di sedentari. Chi fa carriera ottiene una poltrona.
Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca.
Essere italiani è un lavoro a tempo pieno.
L'italiano non lavora, fatica.
Bisogna che i Lombardi dimentichino di essere italiani; le mie province d'Italia non debbono essere unite fra loro che dal vincolo dell'ubbidienza all'imperatore.
L'Italia è un paese: sta all'America, alla Russia, alla Cina, come Enna sta a Roma.
L'Italia è in assoluto uno dei miei Paesi preferiti. L'ho girata tutta, la adoro, amo la cultura italiana e il cibo. Gli uomini sono pieni di passione e romanticismo.
E quest'Italia, un'Italia che c'è anche se viene zittita o irrisa o insultata, guai a chi me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade.
In Italia vi è un'onda di corsi e ricorsi che fa passare l'opinione pubblica media, e talvolta anche quella di cospicue personalità politiche, da una autarchia avvilente e incostruttiva a una vera e propria soggiacenza alle altrui esperienze e fenomenologie.
In Italia il successo non è proporzionale alla qualità. Un tronista risulta più popolare di un attore che fa il suo mestiere da trent'anni. Questa è conosciuta come fenomenologia, di cui il nostro Paese è ghiotto.
L'antica paura degli italiani: quella di migliorare il peggio.
L'unità d'Italia, sognata dai padri del risorgimento, oggi si chiama pastasciutta; per essa non si è versato sangue, ma molta pummarola.