Perché è la perdita la misura dell'amore?
— Jeanette Winterson
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La nostra interpretazione
Il pensiero mette in discussione un’idea molto radicata: quella secondo cui ci si accorge della profondità di un sentimento solo quando lo si perde. La mancanza diventa allora una sorta di metro di misura retroattivo, che illumina ciò che prima era dato per scontato. Finché qualcosa o qualcuno è presente, l’abitudine tende a offuscare la consapevolezza del valore che ha per noi; è nel vuoto che ne segue l’assenza che la grandezza dell’attaccamento emerge in modo netto e spesso doloroso.
Questo interrogativo non è solo malinconico, è anche critico: perché legare la grandezza dell’affetto al dolore del distacco? Perché non riuscire a riconoscere l’intensità del legame nel mentre lo si vive? In controluce si intravede la fragilità umana nel gestire il tempo e la presenza: si rimanda la piena attenzione, si sottrae profondità all’oggi, e ci si confronta con la verità del proprio amore solo quando non c’è più nulla da offrire o da ricevere. La riflessione invita a ribaltare questa logica, cercando di misurare ciò che conta non a partire dalla sua scomparsa, ma dalla responsabilità e dalla lucidità con cui lo si custodisce finché è ancora tra le mani.
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