La politica è teatro. Quando si alza il sipario io faccio la mia parte.
Non sopporto che, per difendere i loro diritti, gli omosessuali vadano in piazza conciati da checche.
E' solo sul palco che gli attori si sentono vivi.
Il dramma resta sempre, dall'inizio alla fine, marcatamente politico.
C'è chi muore oscuro perché non ha avuto un diverso teatro.
Mi sento più vivo in un teatro che in qualunque altro posto, ma quello che faccio in teatro l'ho preso dalla strada.
Quando entri in un meccanismo come quello del cinema, è estremamente difficile uscirne. Il teatro rimane uno dei cardini principali nel cinema, la mia esperienza teatrale rimane un fatto fondamentale. È stata la base.
Il teatro resiste come un divino anacronismo; come l'opera lirica e il balletto classico. Un'arte che è rappresentazione più che creazione, una fonte di gioia e di meraviglia, ma non una cosa del presente.
Continuo a considerarmi un attore di teatro.
In teatro abbiamo le parole. E le parole hanno uno spazio, rimangono nell'aria. Si possono ascoltare, sentire, possiamo sperimentare il loro peso. Nel cinema, però, le parole sono relegate ad un secondo livello che le assorbe.
Nella storia dell'umanità non cala mai il sipario. Se solo ci si potesse allontanare dal teatro prima della fine dello spettacolo.
A due anni mi portarono in scena dentro uno scatolone legata proprio come una bambola perché non scivolassi fuori. E così il mio destino fu segnato. Da "Pupatella" attraverso la poupée francese, divenni per tutti "Pupella" nel teatro e nella vita.