Sentirsi spinti a conoscere qualcuno fino a penetrare tutti i suoi segreti, con tutte le conseguenze che ne deriveranno: ecco quello che si è soliti chiamare, con un termine fiacco e generico, amore.
— Sándor Márai
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La nostra interpretazione
L’amore viene descritto come un impulso irresistibile a entrare in profondità nell’altro, oltre le apparenze, oltre le versioni di sé che ciascuno offre al mondo. Non si tratta di semplice attrazione o simpatia, ma di un desiderio radicale di conoscere ogni angolo nascosto, anche quelli scomodi o oscuri, e di accettare le conseguenze di ciò che verrà scoperto. In questa prospettiva, l’amore non è un sentimento leggero o superficiale, bensì un movimento serio e rischioso verso l’intimità più autentica.
L’uso di un termine “fiacco e generico” per indicare tutto questo mette in luce quanto sia riduttivo il modo quotidiano in cui si parla di amore. Nella vita comune, la parola è spesso logorata dall’abuso, associata a immagini romantiche, idealizzate o consumistiche. Qui, invece, viene restituito il suo peso originario: amare significa esporsi, farsi carico della complessità dell’altro, rinunciare alle illusioni di controllo. L’incontro vero comporta sempre la possibilità di scoprire aspetti che destabilizzano, di affrontare verità dolorose, di cambiare sé stessi.
Il cuore di questa visione è la responsabilità: non ci si avvicina all’altro per possederlo o per colmare un vuoto, ma per assumere su di sé il rischio di vederlo davvero, nella sua interezza. Di conseguenza, l’amore diventa un atto di coraggio e di profondità, ben distante dalle versioni edulcorate e superficiali del sentimento. È un viaggio dentro l’enigma di un’altra persona, intrapreso pur sapendo che nulla rimarrà esattamente com’era prima.