Come porre termine, come chiudere: è su questo e non certo su come iniziare o aprire qualcosa, che chi vive la vita liquido moderna ha urgente bisogno di istruzioni.

Zygmunt Bauman
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La nostra interpretazione

Nell’esperienza contemporanea, ciò che mette più in difficoltà non è l’inizio ma la fine. È relativamente facile aprirsi a nuove esperienze, relazioni, progetti, consumi; il contesto sociale e culturale spinge in quella direzione, offrendo continuamente stimoli, alternative, promesse di novità. Molto più complesso è assumersi la responsabilità di chiudere qualcosa: una storia, un legame, un impegno, un capitolo della propria vita. La dimensione “liquida” dell’esistenza, dove tutto è percepito come provvisorio e sostituibile, rende paradossalmente ancora più problematico porre un termine chiaro alle cose. La difficoltà sta nel confrontarsi con il peso delle conseguenze, con il senso di perdita e con la paura del vuoto che segue una conclusione. Chiudere richiede decisione, consapevolezza, capacità di sopportare il dolore e l’incertezza. Eppure, senza imparare a concludere, si resta intrappolati in situazioni sospese, relazioni irrisolte, progetti mai davvero finiti. L’urgenza non è quindi imparare a moltiplicare inizi, ma a dare forma e senso alle fini, così da non vivere in uno stato permanente di provvisorietà e di irrisolto. La maturità si misura proprio nella capacità di accettare il limite, di riconoscere quando è tempo di lasciar andare e di trasformare una fine in passaggio consapevole verso un nuovo assetto di vita.

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