Fine ultimo di tutto, la fine.
Tutto sarebbe tanto più semplice se nascessimo con le istruzioni per l'uso e la data di scadenza.
L'abitudine è un abito che, indossato da giovani, ci rifiutiamo di togliere vita natural durante.
Diffidare di tutto e tutti è indice di scarsa fiducia nelle proprie facoltà.
Il bacio è un espediente geniale per impedire agli innamorati di dire troppe stupidaggini.
Il filosofo è l'artista del pensiero.
La percezione della fine è dentro ciascuno di noi, è uno stigma della specie, un marchio della sua caducità.
Più o meno, noi desideriamo veder la fine di tutto ciò che operiamo e facciamo; siamo impazienti di giungere al termine, e lieti di esservi giunti. Soltanto la fine totale, la fine di tutte le fini, noi ce l'auguriamo, di solito, il più tardi possibile.
Da qualche parte esiste una fine. Solo che non si trova un cartello con scritto "Ecco, questa è la fine", come al gradino più alto di una scala non si trova scritto: "Attenzione, questo è l'ultimo gradino. Non fate un passo oltre."
A cattivo principio cattiva fine.
Il presente non costituisce mai il nostro fine. Passato e presente sono mezzi, solo l'avvenire è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e preparandoci sempre a essere felici è inevitabile che non lo siamo mai.
Massimo segno della fine, è il principio.
Non arriverai mai alla fine del viaggio, se ti fermi a lanciare un sasso a ogni cane che abbaia.
Il fine giustifica i mezzi? È possibile. Ma chi giustificherà il fine? A questa domanda che il pensiero lascia in sospeso, la rivolta risponde: i mezzi.
Il fine può giustificare i mezzi purché ci sia qualcosa che giustifichi il fine.
Noi sappiamo che la bontà dei fini non giustifica l'uso dei mezzi cattivi. Ma che dire delle situazioni così frequenti oggi, in cui mezzi buoni danno risultati finali che si rivelano cattivi?