Fine ultimo di tutto, la fine.— Alessandro Morandotti
Fine ultimo di tutto, la fine.
I genitori si compatiscono, dei nonni si sorride, gli antenati si venerano.
Se fosse vero che le sofferenze rendono migliori, l'umanità avrebbe raggiunto la perfezione.
Siccome i più pensano che la politica sia una faccenda sporca credono di risolvere il problema lavandosene le mani.
Le disgrazie degli altri ci impressionano tanto perché potrebbero capitare anche a noi.
Per sottrarsi alla fatica di pensare, i più sono persino disposti a lavorare.
Da qualche parte esiste una fine. Solo che non si trova un cartello con scritto "Ecco, questa è la fine", come al gradino più alto di una scala non si trova scritto: "Attenzione, questo è l'ultimo gradino. Non fate un passo oltre."
Massimo segno della fine, è il principio.
Più o meno, noi desideriamo veder la fine di tutto ciò che operiamo e facciamo; siamo impazienti di giungere al termine, e lieti di esservi giunti. Soltanto la fine totale, la fine di tutte le fini, noi ce l'auguriamo, di solito, il più tardi possibile.
C'è una fine per tutto e non è detto che sia sempre la morte.
Un fine autentico può fare a meno di speranze e anche di ogni probabilità di essere raggiunto.
La percezione della fine è dentro ciascuno di noi, è uno stigma della specie, un marchio della sua caducità.
A cattivo principio cattiva fine.
Il fine, che non può essere conseguito se non con mezzi cattivi, non può essere un fine buono.
La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? È fatto per mangiare. Non c'è che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioè un ideale. Salvo in coloro, in cui ha per fine il bere.