Ogni sogno è un pezzo di dolore che noi strappiamo ad altri esseri.
Non si ama senza la volontà, la quale passa attraverso la coscienza; è la coscienza della separazione consentita che ci conduce al distacco dalle cose, che ci riconduce all'unità di Dio.
Noi non moriamo perché dobbiamo morire; moriamo perché un giorno, e non così tanto tempo fa, la nostra consapevolezza è stata forzata a considerarlo necessario.
Ed è così che Isidore Ducasse è morto di rabbia, per aver voluto, come Edgar Poe, Nietzsche, Baudelaire e Gérard de Nerval, conservare la propria individualità intrinseca, invece di diventare, come Victor Hugo, Lamartine, Musset, Blaise Pascal, o Chateaubriand, l'imbuto del pensiero di tutti.
Aver il senso dell'unità profonda delle cose, è aver il senso dell'anarchia.
Tutti quelli che sono riusciti nella vita e che hanno fatto parlare di loro, è perché avevano, anche essi, qualcosa.
Forse c'è qualcosa di peggio dei sogni svaniti: la non voglia di sognare ancora.
Dopo che le avventure dei sogni li hanno portati lontano l'uno dall'altro, al mattino i familiari si salutano come gente che si ritrova dopo un viaggio.
I sogni non si devono raccontare, perché è come dare l'anima.
Se puoi sognarlo, puoi farlo.
Chi ha paura di sognare è destinato a morire.
Ci si accontenta della mediocrità, come di un rifugio, quando si perde la speranza di realizzare la bellezza dei propri sogni.
Beato chi non avrà sogni da realizzare, perché non sarà mai deluso.
Il sogno è un rebus.
L'uomo non sogna della donna perché la trova misteriosa; egli decide che essa è misteriosa, per giustificare il suo sogno di lei.
Se vuoi uccidere un uomo privalo del suo sogno più bello.