La rinuncia in montagna è un atto di umiltà, perciò difficile.
Che ci faccio in montagna? Più ci vado e più mi accorgo di essere scarso. L'aumento di esperienza mi denuncia meglio i difetti. Conoscere non m'incoraggia, anzi mi pesa. L'esperienza accresciuta misura la mia insufficienza.
Sembra così saggio, il corpo, che mai potrò abituarmi ad abitare dentro uno scheletro così sapiente di fatica.
Mi piacciono le persone che non riescono a morire nel loro letto.
Non esiste il tradito, il traditore, il giusto e l'empio, esiste l'amore finché dura e la città finché non crolla.
Tempo. Non so più che significa. Uno crede di averlo e poi si accorge che è il tempo a averti in pugno.
Io chiedo a una scalata non solamente le difficoltà ma una bellezza di linee.
Amavo l'aria aperta, la montagna e la natura; la città è diventata il mio terreno di gioco preferito.
Solo la montagna, la gola, il passo e il torrente possono accedere al pantheon del viaggio, indubbiamente nella misura in cui sembrano sorreggere una morale dello sforzo e della solitudine.
Anche l'aver scalato l'Everest diventa banale e quindi noioso. Una montagna è stimolante solo prima che venga affrontata.
Sulle montagne si trova la libertà! Il mondo è perfetto ovunque, salvo quando l'uomo arriva con i propri tormenti.
Due voci possenti ha il mondo:la voce del mare e la voce della montagna.
La montagna nasconde, ha vicoli, soffitte, sotterranei, come la città dei suoi anni violenti, ma più segreta.
In montagna chi sta diritto e si espone al vento cade; chi invece si stende a terra non viene travolto. Nelle tentazioni ci vuole umiltà.
Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne.
La montagna dovrebbe servire per salire, ma anche, e soprattutto, per discendere. Verso la gente.