Amare qualcuno è tenergli la testa sul catino quando vomita e non provare disgusto.
— Henry de Montherlant
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La nostra interpretazione
L’amore si rivela con maggiore autenticità nei momenti di fragilità che non in quelli di splendore. Essere presenti quando l’altro è vulnerabile, malato, sgradevole, è una forma di dedizione che non cerca bellezza, gratificazione o riconoscimento. Non c’è romanticismo, non c’è fascino, non c’è scena da ricordare: c’è solo il corpo che cede, la dignità che vacilla e il bisogno concreto di una mano che regga, di qualcuno che resti. La mancanza di disgusto, in quel contesto, non è solo una reazione fisica, ma il segno di una fusione affettiva profonda: l’altro non è più “un altro”, è parte di sé, e la sua debolezza non allontana, ma chiama ancora più vicino.
In questo gesto semplice e umile si smaschera ogni amore di facciata. Finché tutto è in ordine, è facile dichiararsi innamorati; ma quando l’immagine ideale dell’altro si incrina, ciò che resta è il valore reale del legame. Sorreggere chi sta male significa accettarlo nella sua condizione più umana e meno eroica, senza giudizio e senza repulsione. È un atto che parla di cura, di responsabilità, di vicinanza silenziosa. L’amore, in questa prospettiva, non è una passione estetica, ma una scelta quotidiana di presenza, anche e soprattutto quando nulla ha più l’apparenza del desiderabile.
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