L'unica cosa che possiamo chiedere a priori a un romanzo, senza esporci a un'accusa di arbitrarietà, è di essere interessante.
Che cosa mi ha fruttato il mio talento? Niente, se non la necessità di farne un uso continuo per trascorrere le ore, gli anni, per ingannare me stessa con qualche pretesto di varietà, di oblìo.
Non c'è base d'unione più comune di un'incomprensione reciproca.
La vita è, di fatto, una lotta. Su questo punto pessimisti e ottimisti si trovano d'accordo.
Gatti e scimmie, scimmie e gatti: ecco tutta la vita umana.
Il romanzo è per sua natura del «rumore», rumore intorno a qualche cosa.
Il romanzo è il privilegio dei ricchi, non la professione dei disoccupati. Il povero deve essere pratico e prosaico.
Scrivere oggi un romanzo tradizionale pare anacronistico e temerario come uscire in carrozza e cilindro, generoso e sfortunato come l'ultima carica del Savoia Cavalleria contro i carri armati russi.
L'unica ragione che abbia un romanzo di esistere è che cerca di rappresentare la vita.
Il romanzo è la favola delle fate di chi non ha immaginazione.
Il romanzo non deve avere alcuna fretta. In passato anche la fretta poteva rientrare nella sua sfera, oggi è passata al film; confrontato ad esso, il romanzo frettoloso è destinato a restare sempre inadeguato.
Quando ho voglia di leggere un romanzo, ne scrivo uno.
Il romanzo meraviglioso nasce dalla capacità del romanziere di interpretare le maschere degli uomini attraverso la sua maschera-psiche per farne i volti dei suoi personaggi.
Quando scrivo un romanzo, lo sento riuscito se sono riuscito ad andare al di là di me stesso e, quindi, se sono entrato nella carne viva dell'umano.
Il romanziere è lo storico del presente, mentre lo storico è il romanziere del passato.
Un romanzo è una macchina per generare interpretazioni.
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