In queste parole emerge l’idea che l’amore e la non violenza non siano semplici scelte etiche o strategie morali, ma qualcosa di molto più radicale: la struttura stessa dell’essere umano e, in senso più ampio, della realtà. Non si parla di un sentimento superficiale o sentimentale, ma di una forza originaria, una legge interiore che orienta l’esistenza verso il rispetto, la cura e la rinuncia alla distruzione. Se questa legge non esiste, se in profondità l’essere umano non è chiamato all’amore e alla non violenza, ogni visione fiduciosa dell’uomo risulterebbe illusoria. La coerenza del pensiero e dell’azione dipende allora da questo presupposto: credere che nel cuore dell’uomo vi sia una vocazione alla compassione, alla dignità dell’altro, al rifiuto del male inflitto deliberatamente. Non si tratta di negare il conflitto o il dolore, ma di affermare che il senso ultimo dell’esistenza non può fondarsi sull’aggressività, sulla vendetta o sulla sopraffazione. In questa prospettiva, la responsabilità personale diventa enorme: riconoscere quella legge interiore significa assumerla come criterio di vita, base per ogni scelta, misura per giudicare i mezzi tanto quanto i fini. L’amore non è allora un accessorio della morale, ma l’asse portante che rende credibile ogni discorso sulla giustizia, sulla pace e sulla dignità umana.