Non merita di essere conosciuto se non ciò che può non essere insegnato.
La nostra nullità dovrebbe moderare la nostra ambizione; d'altronde questa nasce proprio da quella.
Che si siano sempre pregati gli dèi è umano, ma ciò non depone, a dire il vero, in favore della nostra eleganza. Meno che mai della loro.
La vanità è essenzialmente spettacolo e teatro, due parole che rimandano all'atto del guardare, osservare, contemplare, ammirare: nessuno sarebbe vanitoso, nessuno anzi avrebbe alcuna ragione di manifestarsi nel minimo gesto, se non potesse vedersi e, soprattutto, essere visto.
Cristo in vicinanza della morte trema, piange, si abbandona alla disperazione. Socrate conversa serenamente con i suoi discepoli sull'immortalità.
Oltre un certo grado la bellezza, come l'eleganza, non è più una semplice sfida all'imperfezione e alla miseria del mondo, ma una provocazione, anzi un oltraggio: ciò spiega l'odio che non poca gente nutre verso di essa.
La conoscenza è l'artificio che la vita ha inventato per dimenticare ciò che essa è: una vertigine immane.
Per conoscere la strada che hai di fronte, chiedi a chi è sulla via del ritorno.
"Conosci te stesso" è un ottimo precetto, ma sta soltanto a Dio il metterlo in pratica: chi altri se non Lui può conoscere la propria essenza?
Possiamo vedere e conoscere soltanto ciò che di noi è morto. Conoscersi è morire.
Fede e conoscenza rinchiuse nella medesima testa non vanno d'accordo; ci stanno come un lupo e una pecora chiusi nella medesima gabbia: e la conoscenza è il lupo che minaccia di divorare la vicina.
Per conoscere qualcosa di sé bisogna conoscere tutto degli altri.
La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso.
Se un uomo la mattina conosce la retta via, potrà morire la sera stessa senza alcun rimpianto.
Condividi la tua conoscenza. È un modo di raggiungere l'immortalità.
Il dramma del cornuto, è il dramma dell'uomo: la conoscenza.