La coppa della sofferenza non ha la stessa misura per tutti.
La pazienza richiede molta pratica.
Le persone danno valore a qualcosa solo quando si trovano a dubitare se riusciranno a ottenerlo.
Un guerriero della luce conosce i propri difetti. Ma conosce anche i propri pregi. Alcuni compagni si lamentano in continuazione: "Gli altri hanno più opportunità di noi." Forse hanno ragione. Ma un guerriero non si lascia paralizzare da questo. Cerca di valorizzare al massimo le proprie qualità.
In ogni rapporto umano, la cosa più importante è parlare. Ma le persone non lo fanno più: non sanno più sedersi per raccontare e ascoltare gli altri.
Quando il guerriero non si sente felice davanti al tramonto, c'è qualcosa di sbagliato.
Che la sofferenza sia più grande della colpa è la terribile, la distruttiva verità della croce.
La sofferenza dei monaci e della monache, dei solitari d'ambo i sessi, non è una sofferenza della sessualità ma di maternità e di paternità, cioè di finalità.
Guariamo dalla sofferenza solo provandola appieno.
Tanti sono morti disperati. E questi hanno sofferto più di Cristo. Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente.
La capacità di provare dolore e piacere è una condizione non solo necessaria ma anche sufficiente perché si possa dire che un essere ha interessi come minimo assoluto, l'interesse a non soffrire.
Il nostro atteggiamento verso la sofferenza è assai importante, perchè può influire sulla capacità di affrontare il dolore quando questo si presenta.
Non lasciar discutere la propria coscienza, né disarmare la propria volontà, è così che si ottiene la sofferenza, è così che si ottiene il trionfo.
Spesso non diciamo quello che abbiamo dentro per paura di far soffrire gli altri e così ci portiamo dietro un peso che coni1 tempo diventa una montagna.
Sembra di esser meno disgraziati, quando non si è soli a soffrire.
La sofferenza, se affrontata senza timore, costituisce il passaporto verso la libertà.