I libri sono di chi li legge.— Andrea De Carlo
I libri sono di chi li legge.
Scrivere è un'attività per invalidi compiaciuti che sublimano nei libri la frustrazione di non riuscire a vivere.
È un lavoro, essere felici. È una costruzione. Devi metterla giù tavola per tavola e chiodo per chiodo, e controllare di continuo che tutto sia a posto, e tenere ben spalato tutto intorno. Ci vuole un sacco di manutenzione.
Cerchiamo di divertirci, Livio eh? Cerchiamo di esserci e di sentire e di pizzicare e raccogliere quello che c'è finché c'è, senza fare i sognatori e i distratti e gli autolesionisti, eh?
Le famiglie "minuscoli teatri in cui attori scadenti continuano a mettere in scena la stessa pessima rappresentazione, davanti a spettatori ammanettati alle loro sedie".
Possiamo trasformare la vita in una specie d'avventura da libro illustrato, se vogliamo. Non c'è nessun limite a quello che si può inventare, se solo usiamo le risorse che adesso vengono rovesciate per alimentare questo mondo detestabile.
Ciò che è stato scritto senza passione, verrà letto senza piacere.
I libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di familiarità attiva e penetrante.
I libri si dividono in due categorie: i libri per adesso e i libri per sempre.
D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
I libri aggiungono all'infelicità dell'uomo una profondità che scambiamo per consolazione.
Un libro indegno di essere letto una seconda volta è indegno pure di essere letto una prima.
Quando un libro è uscito è tempo, per l'autore, di rimorsi.
Un libro deve essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.
Certi libri già dopo tre righe mostrano un radiatore che fuma.
Ogni libro che aprite ha la sua o le sue lezioni da offrirvi, e abbastanza spesso i libri brutti hanno da insegnarvi di più di quelli belli.