... Come se l'amore forte si esprimesse soltanto attraverso la debolezza. Ed è per questo motivo che ci consola di una storia d'amore solo la parte più dolorosa, e ci disinteressiamo del lieto fine.
— Apuleio
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La nostra interpretazione
Il pensiero ruota intorno al paradosso di un sentimento potente che si manifesta proprio nei suoi momenti di fragilità. Non è la sicurezza, la serenità o il lieto fine a rimanere impressi nell’animo, ma ciò che si è incrinato, ciò che ha fatto male. L’intensità del sentimento sembra trovare la sua massima espressione nella mancanza, nella distanza, nell’impossibilità. Proprio quando l’amore non può compiersi pienamente o viene ferito, rivela la profondità che aveva in silenzio.
I ricordi più vivi non sono quelli in cui tutto è andato bene, ma quelli in cui si è tremato, sofferto, rischiato di perdere. Il dolore, in questo contesto, diventa una prova dell’autenticità del sentimento: se fa male, vuol dire che era reale. Il lieto fine, al contrario, appare quasi scontato, privo di tensione, destinato a sbiadire nella normalità. Ciò che consola davvero non è il sapere che la storia si è conclusa bene, ma il riconoscere che in quel dolore si è amato profondamente, fino al limite della propria forza.
L’essere umano sembra attratto dall’intensità più che dalla tranquillità: custodisce le ferite come testimonianze della propria capacità di amare. La debolezza non è quindi un difetto del sentimento, ma il luogo in cui esso diventa più umano, più vulnerabile e, proprio per questo, più vero. La sofferenza legata all’amore assume una funzione quasi catartica: permette di dare un senso alla perdita, trasformandola in memoria preziosa e in segno di una passione che ha superato la semplice ricerca di felicità facile e indolore.