L'ossessione è il segno distintivo della dipendenza affettiva, indipendentemente dalle diverse forme che assume.
— Enrico Maria Secci
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La nostra interpretazione
L’idea centrale è che quando il pensiero verso una persona o una relazione diventa fisso, ricorrente e incontrollabile, non si parla più di affetto, ma di dipendenza. Il cuore e la mente si agganciano all’altro come se fosse l’unica fonte possibile di senso, sollievo o valore personale. Questo stato interiore non dipende tanto da come appare il rapporto, né da quanto l’altro sembri presente o assente: può capitare in storie apparentemente felici, in legami ormai conclusi, in rapporti mai iniziati davvero o in relazioni segnate da rifiuti e silenzi. A un certo punto l’oggetto del sentimento diventa una specie di calamita mentale che risucchia energie, lucidità e libertà. Si continua a rileggere messaggi, a fare congetture, a controllare segnali, nel tentativo di placare un’ansia di fondo che non si esaurisce mai. L’ossessione, allora, non è un eccesso di romanticismo, ma il sintomo di uno squilibrio: indica che l’altro è stato caricato del compito impossibile di colmare vuoti interiori e paure profonde. In questa dinamica l’amore smette di essere incontro e scelta reciproca e diventa rincorsa, bisogno compulsivo, prigione psicologica. La consapevolezza di questo passaggio è dolorosa, ma apre alla possibilità di distinguere tra desiderio autentico di condividere e paura di restare soli, tra cura dell’altro e tentativo di possederlo per calmare le proprie fragilità più intime.
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