È strano che noi esseri umani ci allontaniamo tanto dalla natura anche nel fare l'amore, che l'attesa dell'orgasmo, l'ansia di arrivarci, rendono teleologico l'amore, ne fanno una cosa di ansie, attese, pressioni.
— Erica Jong
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La nostra interpretazione
Il pensiero espresso mette in luce quanto l’esperienza umana dell’intimità sia spesso irrigidita da aspettative, obiettivi e performance, al punto da perdere il suo legame più profondo con la spontaneità. L’attenzione eccessiva sull’orgasmo come traguardo trasforma l’incontro amoroso in una sorta di gara, caricata di ansia, pressione e senso del dovere, invece che in uno spazio di presenza, ascolto e reciproca esplorazione. Il desiderio diventa un compito da portare a termine, più che un movimento naturale del corpo e dell’anima.
In questo modo il contatto con l’altra persona viene condizionato da schemi culturali e sociali che impongono standard di successo anche alla sfera sessuale. Si perde la capacità di abbandonarsi al momento, di accogliere le sensazioni così come sono, senza misurarle rispetto a un risultato predefinito. L’amore fisico, anziché essere un linguaggio libero e creativo, viene ingabbiato in una logica di scopo e rendimento. Il richiamo implicito è a ritrovare una modalità più naturale, meno finalistica, in cui l’attenzione non sia rivolta al punto di arrivo, ma alla qualità della presenza e della connessione. In questa prospettiva, l’amore diventa autentico quando non deve dimostrare nulla, quando smette di inseguire un esito e torna a essere un’esperienza viva, fluida e condivisa.