L'amore è un uccello tremante nelle mani di un bambino. Si serve di parole perché ignora che le mattine più limpide non hanno voce.
— Eugenio de Andrade
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La nostra interpretazione
L’amore viene raffigurato come una creatura fragile, viva e spaventata, affidata a mani inesperte. La sua essenza è vulnerabile, esposta al rischio di essere ferita o soffocata proprio da chi la tiene stretta. C’è un senso di innocenza, ma anche di possibile goffaggine, perché chi ama non sempre sa come prendersi cura di ciò che prova. L’immagine del bambino richiama la sincerità e la spontaneità, ma anche l’incapacità di misurare la propria forza, come se l’intensità dei sentimenti potesse diventare distruttiva.
L’altro elemento è il rapporto tra parole e silenzio. L’amore viene descritto come qualcosa che si affida al linguaggio, quasi per difetto, come se parlassimo d’amore proprio perché non sappiamo abitare il suo silenzio. Il confronto con le mattine limpide, pure, senza voce, suggerisce che la pienezza di certe presenze non ha bisogno di essere detta. La luminosità e la chiarezza esistono e si fanno sentire senza suono, senza spiegazioni. Allo stesso modo, l’amore più autentico si manifesta spesso in gesti, presenze e sguardi piuttosto che nei discorsi. Le parole diventano un tentativo di afferrare ciò che eccede la nostra capacità di esprimerlo, un mezzo imperfetto per contenere un sentimento che, nella sua forma più chiara, potrebbe bastare a sé stesso nel silenzio condiviso.