Il corpo e la sua morte restano i più grandi pensatori.
Nessuno muore mai completamente, c'è sempre qualche cosa di lui che rimane vivo dentro di noi.
Ognuno deve morire, è vero, ma io ho sempre pensato che sarebbe stata fatta un'eccezione nel mio caso. E ora, che succede?
Credo sia una reazione sana, il riaffermarsi della vita, del piacere e dell'amore dopo aver percorso per molto tempo i territori della morte.
La morte è la porta che tutti noi dobbiamo attraversare, ed è questo nostro io spirituale che, abbandonato il corpo fisico, ci farà continuare a vivere, a imparare e a crescere mentre proseguiamo.
Un sillogismo: gli altri muoiono; ma io non sono un altro; dunque non morirò.
Il gambero arrossisce dopo la morte. Che finezza esemplare, in una vittima!
Il ramo, quando una mano si approssima per staccarne un fiore freme e sembra nel medesimo tempo voler sfuggire a volersi offrire. Il corpo umano ha un simile fremito quando arriva l'istante in cui le dita misteriose della morte vogliono cogliere l'anima.
Si può sopravvivere a tutto al giorno d'oggi tranne che alla morte, e si può far dimenticare ogni cosa eccetto una buona reputazione.
La più gran soddisfazione che si possa dare al prossimo e che poi senza nessun dubbio ci procura le maggiori lodi, è quella di morire.
La morte è un supplizio nella misura in cui non è semplice privazione del diritto di vivere, ma occasione di calcolate sofferenze.