Paura d'amare. Credo sia restare soli per paura di rimanere soli.

Fabio Volo
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La nostra interpretazione

La paura di amare nasce spesso da un paradosso interiore: si desidera ardentemente un legame profondo, ma si teme così tanto la possibilità di perderlo da preferire di non iniziare nemmeno. Si sceglie la solitudine come difesa, cercando di evitare conclusioni dolorose, abbandoni, rifiuti, umiliazioni. In questo modo si costruisce una sorta di corazza, una distanza preventiva dagli altri, con l’illusione di preservarsi dal soffrire. In realtà, questa scelta conduce esattamente al risultato che spaventa di più: il rimanere soli. Si tratta di un meccanismo di auto-sabotaggio emotivo. Chi teme l’amore tende a leggere ogni possibile relazione come una minaccia alla propria stabilità e al proprio equilibrio, invece che come un’occasione di crescita. La paura del futuro viene proiettata sul presente, trasformando possibilità sincere in pericoli da evitare. Dietro questa dinamica spesso si nascondono ferite passate: storie finite male, mancanze, tradimenti, oppure un’immagine di sé fragile, che non si sente degna di essere scelta e amata. Così, il rischio del rifiuto appare insostenibile. Eppure, la solitudine scelta per proteggersi non è mai neutra: logora lentamente, alimenta il senso di vuoto, rafforza la convinzione di essere destinati a restare ai margini. Il paradosso è che l’unico modo per non rimanere davvero soli sarebbe accettare la vulnerabilità, riconoscere che l’amore comporta sempre una quota di rischio. Chi si chiude completamente, per paura di soffrire, finisce per trasformare la paura in profezia che si auto-avvera: nella ricerca di sicurezza assoluta, perde la possibilità stessa di condividere la vita con qualcuno. Così la solitudine, anziché essere una condizione passeggera o scelta consapevole, diventa una gabbia costruita dalla propria diffidenza e dal timore di essere feriti.

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