Il nostro fallo dovrebbe avere gli occhi; grazie a essi potremmo credere per un momento di aver visto l'amore da vicino.
— Francis Picabia
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La nostra interpretazione
L’immagine di un corpo dotato di occhi in un punto così istintivo e carnale suggerisce il desiderio di avvicinare il più possibile eros e sentimento. L’organo sessuale, simbolo per eccellenza dell’impulso e del desiderio, viene immaginato come capace di vedere, di contemplare, quasi di riconoscere qualcosa di più alto e misterioso. Si insinua l’idea che, attraverso l’esperienza fisica, l’essere umano cerchi uno sguardo privilegiato sull’amore, un contatto ravvicinato con una verità che sfugge alla comprensione razionale.
C’è anche un’ironia profonda: per un attimo si crede di aver “visto” l’amore, ma è solo un’illusione legata alla forza del desiderio e alla potenza dell’attrazione. L’amore resta inafferrabile, mentre il corpo pretende di farsene guida. La vista diventa metafora di conoscenza: si vorrebbe che il desiderio non fosse cieco, che potesse distinguere tra semplice piacere e sentimento autentico. Allo stesso tempo emerge un conflitto: ciò che è più istintivo aspira a elevarsi, a farsi strumento di verità, pur rimanendo limitato alla sua natura sensuale.
In questo contrasto si riflette la difficoltà umana di separare amore e desiderio, e il bisogno di credere, almeno per un istante, che il contatto fisico metta davvero in relazione con qualcosa di essenziale, profondo e forse irripetibile.
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