Un crimine generalizzato diviene ben presto un diritto.
Per molti, libertà è la facoltà di scegliere le proprie schiavitù.
Per il solo fatto di far parte di una folla, l'uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro.
L'elettore vuol vedere lusingate le sue cupidigie e le sue vanità; il candidato deve coprirlo delle più stravaganti piaggerie, e non deve esitare a fargli le più fantastiche promesse.
Se l'ateismo si propagasse diventerebbe una religione non meno intollerante di quelle antiche.
In amore, quando chiediamo delle parole, è perché si ha paura d'intendere i pensieri.
C'è chi, come prezzo del proprio misfatto, ebbe la forca, chi la corona.
Un crimine che riporta successo e fortuna è chiamato virtù.
Spogliato delle razionalizzazioni etniche e delle pretese filosofiche, un crimine è una qualunque cosa, che chi comanda, proibisce.
Tutti possiamo essere spregevoli. Ognuno di noi porta con sé un crimine commesso o un crimine che l'anima gli chiede di commettere.
Il crimine è una sorta di malattia e dovrebbe essere trattato come tale.
Criminali. Gente che pensa male dei carabinieri, e di cui i carabinieri pensano peggio.
Se i criminali agissero sempre secondo un orario ben preciso, come i treni, sarebbe certo molto comodo.
Occorre fare attenzione a non lasciare che i crimini commessi da singole persone o da piccoli gruppi ci facciano cadere nella trappola delle "generalizzazioni", in modo che questi atti condizionino il nostro modo di guardare a intere popolazioni, intere regioni e religioni.
Nel crimine c'è dell'eroismo, come nella virtù. Il vizio e l'infamia hanno i propri altari e la propria religione.