Nel paziente esercizio della scrittura ho dato un senso al dolore.
I nostri pensieri danno forma a ciò che noi supponiamo sia la realtà.
Ho cinquant'anni e comincio ora a liberarmi dai pudori e dalle severità di una rigida educazione.
L'essenziale è spesso invisibile; è solo il cuore, e non l'occhio, a poterlo cogliere, ma la macchina fotografica a volte sfiora tracce di quella sostanza.
Non invento i miei libri: saccheggio storie dai giornali o ascolto con orecchio attento le vicende degli amici. Da questi spunti poi i miei personaggi emergono da soli, con naturalezza.
Le crisi e le avversità, spesso diventano occasione di crescita interiore.
Scrivere è continuare, inseguire al di là della tenebra quel fanalino fuggente che è l'uomo.
Bisogna prendere speciali precauzioni contro la malattia dello scrivere, perché è un male pericoloso e contagioso.
Tutta la scrittura è cochonnerie.
Vivere: è pugnare con gli spiriti mali del cuore e del pensiero. Scrivere: è tenere severo giudizio contro sé stessi.
La scrittura esige virtù scoraggianti, sforzi, pazienza; è un'attività solitaria in cui il pubblico esiste solo come speranza.
Bisogna interrompere di tanto in tanto il flusso della scrittura. Per evitare che dal rubinetto scorra sempre la medesima acqua.
Il bello è che scrivere è un altro modo di cagare e masturbarsi.
Io sono convinta che la scrittura non serva per farsi vedere ma per vedere.
La scrittura ha cessato di essere la prosa del mondo; le somiglianze e i segni hanno sciolto la loro antica intesa; le similitudini deludono, inclinano alla visione e al delirio; le cose restano ostinatamente nella loro ironica identità: sono soltanto quello che sono.
Scrivere è un artigianato che non conosce maestri, se non in modo imponderabile.