L’affermazione attribuita a Jim Morrison propone una visione profondamente disincantata del sentimento amoroso. L’amore viene descritto come uno strumento tra i tanti che l’essere umano utilizza per non trovarsi faccia a faccia con il senso di vuoto interiore, con la solitudine, con l’assenza di significato che spesso percepisce nella propria esistenza. In questa prospettiva, non rappresenta tanto una forza assoluta, salvifica o sacra, quanto piuttosto una strategia, un modo per riempire spazi emotivi che altrimenti apparirebbero insopportabili. Il valore di questa visione non sta tanto nel negare la profondità dei sentimenti, quanto nel metterli in discussione. L’amore appare così come un’esperienza reale ma non definitiva, legata ai limiti e alle fragilità umane. Ciò che viene messo al centro è il bisogno di sfuggire al nulla, alla paura del non-senso. L’essere umano, incapace di sostenere a lungo il peso del vuoto, costruisce relazioni, passioni, legami, speranze; tra questi, l’amore occupa una posizione privilegiata perché unisce desiderio, illusione, vicinanza e consolazione. Questa visione invita a interrogarsi sulla natura dei propri legami affettivi: si ama per scelta consapevole o per bisogno di riempire una mancanza? Il sentimento diventa allora anche uno specchio della propria condizione interiore. Se l’amore è un espediente, non è necessariamente qualcosa di falso o inutile; può essere uno dei modi più umani e intensi con cui si tenta di dare forma a un’esistenza che altrimenti apparirebbe priva di contorni. Tuttavia, rimane sempre sospesa la domanda sul cosa resti quando l’innamoramento si spegne e il bisogno di senso torna a farsi avanti, nudo, sotto la superficie delle emozioni.