Per un attore, fare teatro è quanto di più eccitante ed istruttivo possa esserci.
Il teatro è un po' come partire ogni anno per un piccolo servizio militare: mi piace fare uno spettacolo che rimanga di alta qualità nel corso di tutte le repliche, da Roma fino all'ultima provincia del nostro paese.
L'intervallo fra un atto e l'altro era necessario per regolare le candele.
L'essenza di una tragedia, o anche di un dramma serio, è il risveglio spirituale, o la rigenerazione, dell'eroe.
È essenziale porre fine alla soggiogazione del teatro al testo, e ristabilire la nozione di un tipo unico di linguaggio, a metà strada tra gesto e pensiero.
La vanità è essenzialmente spettacolo e teatro, due parole che rimandano all'atto del guardare, osservare, contemplare, ammirare: nessuno sarebbe vanitoso, nessuno anzi avrebbe alcuna ragione di manifestarsi nel minimo gesto, se non potesse vedersi e, soprattutto, essere visto.
Al college ho lasciato medicina per fare teatro, poi mi sono trasferito a San Francisco e ci ho vissuto per cinque anni.
Il teatro è anche finzione solo perché è anzitutto segno.
Il teatro non è indispensabile. Serve ad attraversare le frontiere fra te e me.
La performance non è un'illusionistica copia della realtà, nè la sua imitazione. Non è una serie di convenzioni accettate come un gioco di ruolo, recitato in una seperata realtà teatrale. L'attore non recita, non imita, o pretende. Egli è se stesso.
Io faccio del teatro, non della letteratura. E dal teatro tengo lontano tutto ciò che può danneggiarlo: i registi, i testi inutilmente intellettuali, gli scandali.