Non era questione di essere felice o infelice. Io non volevo più essere me.
— Sarah Dessen
2
La nostra interpretazione
Le parole rivelano un tipo di sofferenza che va oltre le categorie abituali di felicità e infelicità. Non si tratta semplicemente di stare bene o male, ma di un rifiuto profondo di ciò che si è diventati. Quando il disagio interiore raggiunge un certo livello, le emozioni non bastano più per descriverlo: non è solo tristezza, non è solo insoddisfazione, è una frattura con la propria identità. Emergere il desiderio di smettere di riconoscersi in sé stessi, come se il proprio volto, la propria storia e le proprie scelte fossero diventati una gabbia.
Questo stato d’animo può nascere da relazioni dolorose, da aspettative deluse, da un amore che ha lasciato ferite profonde o dall’incapacità di sentirsi all’altezza di ciò che gli altri si aspettano. La persona si percepisce come intrappolata in un “io” che non sente più suo, un ruolo che non riesce a sostenere. In questo rifiuto c’è insieme disperazione e desiderio di cambiamento: la volontà di abbandonare la vecchia immagine di sé, anche senza sapere ancora chi si potrebbe diventare. Non è una semplice malinconia, ma una crisi esistenziale in cui il bisogno più urgente non è trovare un po’ di gioia, bensì trovare una versione di sé che sembri finalmente autentica e vivibile.