Chi più si ama meno può amare.
— Giacomo Leopardi
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La nostra interpretazione
L’idea espressa mette in contrasto l’amore rivolto a sé stessi e la capacità di amare gli altri. Quando l’attenzione è centrata in modo eccessivo sul proprio benessere, sui propri desideri e sulla propria immagine, lo spazio interiore per accogliere davvero un’altra persona si restringe. L’amore autentico richiede apertura, vulnerabilità, disponibilità a mettere in gioco qualcosa di sé senza pretendere di restare sempre al centro. Se invece il sentimento principale è rivolto alla propria persona, ogni relazione rischia di diventare un mezzo per confermare il proprio valore, più che un incontro reale con l’altro.
In questo modo l’altro viene percepito come un riflesso o un complemento, e non come un individuo dotato di autonomia e profondità. È facile allora confondere il bisogno di essere amati con la capacità di amare. Si può desiderare intensamente attenzione, cura e riconoscimento, ma offrire poco in cambio, perché l’energia affettiva è già interamente assorbita dalla cura di sé. Ne nasce una forma di solitudine interiore, nella quale, pur cercando legami, si rimane chiusi in un orizzonte ristretto.
Il paradosso sta proprio qui: quanto più il sentimento verso sé stessi è assoluto e totalizzante, tanto più le relazioni diventano fragili, strumentali o superficiali. L’altro non viene più ascoltato nella sua verità, ma valutato in funzione di ciò che dà o toglie alla propria autostima. Amare davvero, invece, implica un parziale decentramento dell’io, la capacità di relativizzare i propri bisogni e di riconoscere valore e dignità all’altro indipendentemente da ciò che si riceve in cambio. In questo senso, un amore eccessivamente ripiegato su sé stesso finisce per impedire la nascita di un legame profondo, e lascia chi lo prova incapace di vivere un sentimento pieno e reciproco.
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