Se fosse morto saprei almeno chi ho perduto e chi sono io. Adesso non so più niente. Tutta la mia vita è sprofondata dietro di me come in quei terremoti in cui la Terra si divora da sé. Sprofonda dietro di voi man mano che fuggite.

Simone de Beauvoir
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La nostra interpretazione

Qui emerge il dolore di una perdita che non è netta, non è conclusa, non è nemmeno chiaramente definita. Non si tratta di un lutto tradizionale, in cui la morte, pur devastante, dà almeno un contorno certo al dolore: si sa chi non c’è più, si sa chi si è stati in relazione a quella persona. Qui invece domina l’ambiguità, una separazione sospesa che lascia la protagonista in un vuoto identitario. L’assenza non ha un nome preciso e proprio per questo diventa più insopportabile: non permette di riconoscere il proprio ruolo, il proprio passato, né il senso della relazione vissuta. Il paragone con un terremoto che inghiotte la terra alle spalle dà l’idea di un passato che si disintegra mentre si tenta di andare avanti. Non c’è più un terreno stabile su cui poggiare la memoria: ricordi, legami e certezze vengono inghiottiti, rendendo impossibile definire chi si era e chi si è ora. Ne deriva una forma radicale di smarrimento interiore, in cui l’io stesso si frantuma. L’identità, prima sostenuta e illuminata dal legame affettivo, si ritrova improvvisamente senza appigli: correre in avanti non salva, perché ciò che si perde non è solo l’altra persona, ma la continuità della propria vita. Il dramma non è soltanto nella fine di un amore, ma nel crollo della narrazione di sé, come se l’intera esistenza fosse stata inghiottita da una voragine che impedisce di dire con chiarezza chi è stato perduto e chi si è diventati.

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