Vi sono molti per i quali il dialogo è un'ancora di salvezza a tal punto che, quando è finito, sprofondano in una certa disperazione.
Non si può osservare Dio dall'esterno come un semplice oggetto, dalla cui conoscenza si deducono conclusioni neutrali.
Sempre più mi divenne evidente che per le persone colpite Dio destina i giorni di malattia a diventare giorni di raccoglimento interiore.
Il dialogo con le altre religioni è condivisione. Non c'è bisogno quasi di parole. Il dialogo è vita vissuta.
Ci si trascina di notte per le vie e si parla tra sé. Il dialogo alligna di giorno e risuona dei suoi traffici ignobili. Di notte si monologa. Come dei re.
Con le donne monologo volentieri. Ma il dialogo con me stesso è più stimolante.
Il dialogo planetario rende i ragazzi molto forti e molto creativi.
La prima condizione perché il dialogo sia possibile è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l'altro dice.
Il dialogo dovrebbe essere semplicemente un suono fra gli altri, solo qualcosa che esce dalla bocca delle persone, i cui occhi raccontano la storia per mezzo di espressioni visive.
La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all'impegno verso la nostra fede.
Il dialogo è indispensabile per la ricerca dell'unità, ma a condizione che non si compiaccia nella immobilità di una pace confessionale.
Gesù non intende il dialogo come una concessione che falsifica la verità.
Il dialogo è importante solo se ci arricchisce, se chiarisce idee che ci aiutano a percorrere meglio il cammino della nostra esistenza.
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