Vorrei tre vite: col cinema forse ne assecondo l'illusione.
La cinematografia è un tipo di scrittura che va coltivata con una certa irruenza: un film commerciale non è un peccato, importante è vivere certi momenti, accorgersi di tutto.
Gli italiani sono singoli geni che formano, tutti insieme, un popolo politicamente disordinato e immaturo. Una collettività talmente sorprendente da rendere problematico un giudizio complessivo.
Mi è molto affine l'umorismo, lo slancio emotivo del popolo russo.
Mi piace il pasticcio enorme che è l'Italia.
Per me il cinema si è fermato a quello di un tempo. Le attrici del passato erano autentiche, mai costruite. La mia preferita resta Brigitte Bardot.
La morte non è che un'abolizione dello spazio e del tempo. Questo è anche il fine del cinema.
Dico sempre ai miei figli che, davanti al grande schermo, bisogna ricordare che, in fondo, non vediamo altro che finzione. I personaggi che interpretiamo, e che lo spettatore vede, non sono reali: sono nelle nostre menti ed è questa la magia di quella fantastica arte che è il cinema.
Non sono brava a capire ciò che il pubblico vuole vedere.
Una delle gioie che procura il cinema è il fatto che è a buon mercato, e questo non dovremmo dimenticarlo mai.
Il teatro è condannato a morire da sé e deve consegnare il suo retaggio al cinematografo. Il cinematografo, tramutati in un ramo industriale l'ingenuo realismo e l'artisticità di Cechov e Gorki, spiana la strada al teatro dell'avvenire, alla libera arte dell'attore.
Io distinguo due tipi di successo: quello che ho avuto nello sport e quello nel cinema. Il primo è mio e non me lo leva nessuno. Il secondo è quello che il pubblico ha deciso di darmi e che mi ha permesso di fare 120 film.
Una delle cose migliori dell'essere un attore è che si lavora nell'ambito di una meritocrazia.
Ad Hollywood mi sono trovato sia bene sia male. Ho lavorato con grandi produttori come la Disney ed ho imparato molto, ma non mi capacito di quanti soldi sprecano.