Signore, abbi pietà del mio sangue, della mia anemia in fiamme!— Emil Cioran
Signore, abbi pietà del mio sangue, della mia anemia in fiamme!
La "dolcezza del vivere" è scomparsa con l'avvento del rumore. Il mondo sarebbe dovuto finire cinquant'anni fa; o, meglio ancora, cinquanta secoli fa.
A dire il vero, non è la morte, è la malattia quello che temo, l'immensa umiliazione legata al fatto di languire nei paraggi della morte.
Ogni inizio di idea corrisponde a un'impercettibile lesione della mente.
Niente rende modesti, neppure la vista di un cadavere.
Si diventa tolleranti soltanto nella misura in cui si perde di vigore, si cade amabilmente nell'infanzia, e si è troppo stanchi per tormentare gli altri con l'amore o con l'odio.
La compassione è la risposta spontanea dell'amore; la pietà l'involonario riflesso della paura.
Compassione e pietà sono assai differenti. Mentre la compassione riflette l'anelito del cuore a immedesimarsi e soffrire con l'altro, la pietà è una serie controllata di pensieri intesi ad assicurarci il distacco da chi soffre.
Chi ha pietà degli altri ha pietà di sé.
La pietà per ogni essere vivente è la prima valida garanzia per il buon comportamento dell'uomo.
Pietà quanta se ne vuole, ma non lodate le cattive azioni: date loro il nome di male.
Certo non la pietà, non l'umiltà, non l'ingenuità, non la debolezza possono salvarci, ma forse il disporsi con orrore a povere, sconfitte e disperate cose come queste.
La pietà è uno condimento a tutte le virtù che può avere uno omo.
Come il buddhismo, anche il cristianesimo fu un'associazione di poveri; il suo principale allettamento fu la facilità offerta alle classi diseredate di riabilitarsi con la professione d'un culto che offriva loro soccorsi e pietà infinita.
Non c'è belva tanto feroce che non abbia un briciolo di pietà. Ma io non ne ho alcuno, quindi non sono una belva.
Quando c'è in giro tanta pietà per gli animali, pochissima ne resta per l'uomo.