Insegnare è la base per imparare.
È necessario sopportare gli altri, ma in primo luogo è necessario sopportare se stessi e rassegnarsi ad essere imperfetti.
Ciò di cui abbiamo bisogno è una tazza di comprensione, un barile di amore e un oceano di pazienza.
È un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dell'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati.
Tristezza e malinconia sono brutte compagne che arrugginiscono l'anima.
Chi è fondamentalmente un maestro prende sul serio ogni cosa soltanto in relazione ai suoi scolari - perfino se stesso.
Maestri di vita. Dispiace nei cosiddetti maestri non che cambino le idee, ma che le idee non li cambino.
Ci sono uomini colti persino tra i professori.
E pronuncia sempre con riverenza questo nome - maestro - che dopo quello di padre, è il più nobile, il più dolce nome che possa dare un uomo a un altro uomo.
Tra la nutrice che allatta e il precettore che insegna vi è analogia. Talvolta, quest'ultimo è padre più del genitore stesso, come la nutrice è madre più della madre vera.
Il maestro si limita a «muovere», a stimolare il discepolo e il discepolo solo se risponde a questo stimolo - sia durante che dopo l'esposizione del maestro - arriva ad un vero apprendimento.
Ottimo è quel maestro che, poco insegnando, fa nascere nell'alunno una voglia grande d'imparare.
Il professore è un uomo che deve parlare per un'ora.
Non c'è niente da fare: ogni maestro ha un solo allievo, e questo gli diventa infedele perché è destinato anche lui a diventare maestro.
Chi in un'arte è diventato maestro, può senza danno scordarsi le regole.
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