La malattia è la più grande imperfezione dell'uomo.
Si può paragonare la nostra vita a una giornata d'inverno. Veniamo al mondo tra le dodici e l'una di notte e prima delle otto non fa giorno. Non sono ancora le quattro del pomeriggio e fa di nuovo scuro. Alle dodici moriamo.
Non posso certo dire se la situazione sarà migliore quando sarà cambiata; ma posso dire che per diventare migliore deve cambiare.
La virtù premeditata non è degna di valore.
Quanto meglio sarebbe se i voti si potessero pesare, anziché contare.
Le verità più pericolose sono le verità distorte delicatamente.
Non fuggire i malati di malattie ripugnanti perché anche tu sei rivestito di carne.
La malattia è un linguaggio comunicativo, non un ammasso anarchico di cellule impazzite. Succede che il nostro corpo non sia soddisfatto della vita che fa e si lamenta, tenti di opporsi, critica il cervello per le sue scelte.
Fa bene qualche volta essere malato.
È nella malattia che ci rendiamo conto che non viviamo soli, ma incatenati a un essere d'un altro regno, dal quale ci separano degli abissi, che non ci conosce e dal quale è impossibile farci comprendere: il nostro corpo.
La malattia mentale allora esprime contemporaneamente un movimento di rottura (autonomo e inconsapevole) con le forme di vista istituzionalizzate e lo stacco che il movimento stesso subisce.
Ci sono rimedi peggiori della malattia.
Il male è già mezzo guarito quando se n'è scoperta la causa.
Mi piace la convalescenza: è la cosa per cui vale la pena ammalarsi.
Le malattie sono più intelligenti di noi, trovano la risposta dei nostri problemi prima della ragione.
A forza di credersi malato, lo si diventa.