Come si fa ad amarsi vivendo con se stessi 24 ore su 24?
— Gesualdo Bufalino
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La nostra interpretazione
Le parole mettono in luce la difficoltà di volersi bene quando non esiste possibilità di distanza da sé. Convivere costantemente con i propri pensieri, con i difetti percepiti, con i ricordi ingombranti e con le paure più intime rende complesso sviluppare un sentimento autentico di affetto verso la propria persona. L’idea di amarsi non è presentata come un atto spontaneo e naturale, ma come una sfida quasi paradossale: se spesso è faticoso sopportare gli altri, quanto può essere arduo sopportare se stessi senza tregua, senza pause, senza vie di fuga?
Emergono ironia e malinconia insieme: da un lato c’è il sorriso amaro di chi riconosce la propria imperfezione, dall’altro la consapevolezza che l’amore verso sé stessi è forse il più esigente, perché richiede una familiarità totale con le proprie ombre. Non esistono maschere da indossare quando si è soli con il proprio io; cadono le giustificazioni, restano i giudizi interiori, spesso severi. Questa condizione genera una sorta di “amore difficile”, continuamente messo alla prova dalla vicinanza ininterrotta con ciò che si vorrebbe cambiare o dimenticare.
Allo stesso tempo, emerge una domanda implicita: è possibile trasformare questa convivenza forzata in un rapporto più indulgente, persino tenero, con la propria interiorità? Dietro l’apparente rassegnazione si intravede un’esigenza profonda di comprensione e di riconciliazione con se stessi, come se l’unico vero modo di abitare la propria vita fosse imparare, lentamente, a perdonarsi e a trattarsi con la stessa pietà che si riserva a chi si ama davvero.
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