I mali sono meno dannosi alla felicità che la noia.
La noia non è altro che il desiderio puro della felicità non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere.
Chi ha perduto la speranza d'esser felice, non può pensare alla felicità degli altri, perché l'uomo non può cercarla che per rispetto alla propria. Non può dunque neppure interessarsi dell'altrui infelicità.
L'origine del sentimento profondo dell'infelicità, ossia lo sviluppo di quella che si chiama sensibilità, ordinariamente procede dalla mancanza o perdita delle grandi e vive illusioni.
Oggi non può scegliere il cammino della virtù se non il pazzo, o il timido e vile, o il debole e misero.
Non è cosa tanto nemica della compassione quanto il vedere uno sventurato che non è stato in niente migliorato, né ha punto appreso dalle lezioni della sventura, maestra somma della vita.
Il male è l'illimitato, ma non è l'infinito.
In ciascuno di noi vi è un istinto di male. Anzi, il bene e il male vivono accumunati e indistinti nello spirito nostro.
Il filosofo rimane confuso, vedendo quanti mali bisogna tollerare, e quanti talvolta favorire, perché il male non cresca fuor di misura.
Il bene è positivo. Il male è puramente privativo, non assoluto: è come il freddo, che è la privazione del caldo. Tutto il male non è che morte o non-entità. La benevolenza è assoluta e reale.
L'occasione di far del male si trova cento volte al giorno, quella di far del bene una volta all'anno.
Il male nasce sempre dove l'amore non basta.
È di gran sollievo pensare che il male che ti è accaduto, tutti prima di te l'han sofferto, e tutti lo soffriranno.
Si ha l'esperienza del male solo vietandoci di compierlo; o, se lo si è compiuto, pentendosene.
Sono in migliaia ad accanirsi contro le ramificazioni del male, ma solo uno a colpirne la radice.
Se gli dèi esaudissero le preghiere degli uomini, l'umanità verrebbe dissolta a causa di tutti i mali che gli uomini si invocano l'un l'altro.