"Aver ragione" è la naturale vocazione della follia.— Giorgio Manganelli
"Aver ragione" è la naturale vocazione della follia.
Già il fatto che un libro sia un romanzo non depone a suo favore, è un connotato lievemente losco, come i berretti dei ladruncoli, i molli feltri dei killers, gli impermeabili delle spie.
Io amo le macchine imprecise, i computer che sbagliano, i semafori che s'incantano.
Un linguaggio è un gigantesco "come se".
Lo scrittore deve adescare, non deve raccontare niente, non ha nessun compito di trasmettere verità.
Letteratura è un gesto non solo arbitrario, ma anche vizioso: è sempre un gesto di disubbidienza, peggio, un lazzo, una beffa; e insieme un gesto sacro, dunque antistorico, provocatorio.
I matti sono punti di domanda senza frase migliaia di astronavi che non tornano alla base sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole.
Cessando di essere pazzo, diventò stupido.
Forse la follia è soltanto un dispiacere che abbia smesso di evolversi.
L'egoismo teoretico possiede la coerenza della pura follia; esso non abbisogna di confutazione - che è impossibile - bensì di cure.
La follia non ha scopo. Il folle fa qualcosa, lo fa senza scopo né motivo, così perché lo può fare: si cava i denti con un chiodo arrugginito, o si mette a urlare parole senza senso, in un dialetto norvegese magari.
La scienza, come la poesia, si sa che sta a un passo dalla follia.
Quando ci ricordiamo di essere tutti folli, i misteri della vita scompaiono e la vita trova una spiegazione.
Chi ha delle estasi, delle visioni, chi scambia i sogni per la realtà è un entusiasta. Chi sostiene la propria follia con l'omicidio è un fanatico.
Le ore della follia sono misurate dall'orologio, ma quelle della saggezza nessun orologio le può misurare.