Niente ha bisogno d'esser modificato quanto le abitudini degli altri.
Per ottenere il pieno valore della gioia dobbiamo avere qualcuno con cui condividerla.
Se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare.
In paradiso si entra per favoritismo. Se si entrasse per merito, tu resteresti fuori ed il tuo cane entrerebbe al posto tuo.
Cerchiamo di non essere troppo esigenti: è meglio possedere diamanti di seconda scelta che non possederne affatto.
Tutti dicono "Che disgrazia dover morire": strana lagnanza da parte di gente che ha dovuto vivere.
L'abito è grande maestro, ma di per sé insufficiente, se non vi si aggiunga la ragione pensata e la volontà di quello a che l'uomo si viene abituando.
Scacciamo per sempre da noi le cattive abitudini come se fossero uomini malvagi che ci hanno nuociuto per molto tempo.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Due cose assolutamente opposte ci condizionano ugualmente: l'abitudine e la novità.
L'abitudine è, fra tutte le piante umane, quella che ha meno bisogno di un suolo nutritivo per vivere e la prima a spuntare sulla roccia apparentemente più desolata.
Non è vero che ci si abitua, si è sempre più stanchi, semplicemente.
Prendi la direzione opposta all'abitudine e quasi sempre farai bene.
Nessuno osa dire addio alle proprie abitudini. Più di un suicida s'è fermato sulle soglie della morte pensando al caffè dove andava a giocare tutte le sere la sua partita a domino.
L'abitudine è mezza padrona del mondo. "Così faceva mio padre" è sempre una delle grandi forze che guidano il mondo.
L'abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo d'averla addosso ogni fibra di noi s'è adeguata, ogni gesto s'è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci.