Togliete l'amor proprio all'amore, ben poco resta. Una volta mondato della vanità, diventa un convalescente, che appena riesce a trascinarsi.
— Nicolas Chamfort
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La nostra interpretazione
L’idea centrale è che gran parte di ciò che viene chiamato amore è in realtà intrecciato con l’amor proprio, con il bisogno di nutrire il proprio ego, sentirsi desiderati, importanti, confermati. Quando si toglie questa componente di vanità e autocompiacimento, il sentimento che rimane appare improvvisamente debole, quasi svuotato di forza vitale. L’immagine del convalescente, che riesce a malapena a trascinarsi, suggerisce un amore fragile, spoglio degli orpelli dell’orgoglio e della ricerca di approvazione.
Si suggerisce una visione piuttosto disincantata: ciò che spesso viene celebrato come passione travolgente o dedizione profonda è, almeno in parte, alimentato dalla soddisfazione di sé, dalla volontà di piacere e di possedere. Il sentimento puro, non sostenuto dal desiderio di valorizzarsi tramite l’altro, risulta raro e poco vistoso, distante dall’enfasi romanzesca. Si mette così in discussione la sincerità di molti legami affettivi, insinuando che, una volta eliminata la componente narcisistica, molte relazioni perderebbero intensità. Rimane l’interrogativo se un amore autentico, capace di esistere senza vanità, non sia proprio quello più silenzioso, meno appariscente, e per questo più difficile da riconoscere ma anche più esposto alla stanchezza e alla vulnerabilità.
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