Ci sono cose che spesso non possiamo fare e di solito sono le più importanti.
Nessuno sapeva bene che cosa stesse nascendo; nessuno avrebbe potuto dire se sarebbe stata una nuova arte, un uomo nuovo, una nuova morale o magari un nuovo ordinamento della società. Perciò ognuno ne diceva quel che voleva. Ma dappertutto si levavano uomini a combattere contro il passato.
Ulrich è alle prese con il suo (e della sua generazione) vuoto di poter essere, con un'apatica rassegnazione.
Per una quantità di ragioni nessun periodo del passato ci è tanto ignoto quanto i tre, quattro o cinque decenni che dividono i nostri vent'anni dai vent'anni di nostro padre.
Non esiste altro esempio di destino inesorabile pari a quello di un giovane d'ingegno che si raggrinza a vecchietto mediocre; senza colpi della sorte, solo per il rattrappimento a cui era già predestinato!
La nostra civiltà è un tempio di ciò che non sorvegliato sarebbe chiamato follia, ma è anche il luogo dov'è tenuto sotto sorveglianza.
Quando i limiti sono trascesi viene a mancare il riferimento all'esperienza possibile, così l'uomo cade nelle "inevitabili illusioni della ragione umana".
Bisogna che ognuno conosca i propri limiti.
Chi scalza il muro, quello gli cade addosso.
Chi non conosce il suo limite tema il destino.
Abbiamo bisogno di vedere che i nostri limiti vengano trasgrediti e che ci sia vita che pascoli liberamente dovunque noi vaghiamo.
I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo.
L'unico modo per non far conoscere agli altri i propri limiti, è di non oltrepassarli mai.
Cavilla sui tuoi limiti e senza dubbio ti apparterranno.
Non c'è destino, ma soltanto dei limiti. La sorte peggiore è subirli. Bisogna invece rinunciare.