L'aforisma è la chiusura-lampo del bagaglio delle esperienze.
Esistono solo tre fonti di delusioni: passato, presente e futuro.
La realtà è il surrogato della fantasia.
Ci sono caratteri che per star bene devono far star male gli altri.
La voce della coscienza è come uno di quei congegni d'allarme che scattano per ogni nonnulla e nessuno gli dà più retta.
Sull'ingratitudine si pensa che tutto sia stato detto. Finché non la si sperimenta in proprio.
Scrivere aforismi è da grande signore, come è da grande signore regalare bottiglie di vino; sarebbe da contadino regalare una botte.
L'aforismo è ingegnoso, è eloquente, ma come tutti gli aforismi è una parte della verità, non tutta la verità. Per fare un aforismo, per formulare un dogma, bisogna tagliar troppe cose, arrotondar troppi spigoli; e la verità non è quasi mai né quadrata, né rotonda.
L'aforisma è la forma più pudica di scrittura, e se cerca la verità è per nascondersi dietro di lei.
Scrive aforismi, e ha il coraggio di presentarli a un pubblico di lettori, chi ha raggiunto lo spazio mentale che gli è connaturale e ne ha fissato confini ed estensioni.
L'aforisma è una scheggia d'universo. Ricostruire la vetrata è un po' più difficile.
Gli aforismi, sia i miei che quelli di ogni altro, sono sempre falsi, intrinsecamente falsi. Anche questo.
Gli aforismi sono il monoteismo degli esuli.
L'aforisma è l'uso pessimistico della scrittura che manda in pezzi l'ethos oratorio.
L'aforisma è come l'asparago: il buono è nella punta.
Ci sono aforismi che, come gli aeroplani, stanno su solo quando sono in movimento.