È preferibile vivere un romanzo che leggerlo.
Siamo al mondo per fornire un pretesto all'esistenza.
L'entità dell'errore è commisurata alla statura di chi lo commette.
È facile fare domande difficili. Difficile è dare risposte facili.
Le più diffuse credenze traggono la loro forza dall'inverificabilità.
La sostanza sta nelle sfumature.
Non c'è niente di più distante dalla vita delle persone che lo scrivere romanzi. Per questo fanno bene al cuore.
Un romanzo è in pratica una forma protestante di arte, è un prodotto di una mente libera, di un individuo autonomo.
Se ha intenzione di scrivere romanzi, una donna deve possedere denaro e una stanza tutta per sé.
Tutti i romanzieri, forse, non scrivono che una sorta di tema (il primo romanzo) con variazioni.
Il romanziere non deve render conto a nessuno, tranne che a Cervantes.
I romanzieri, sottoscritto compreso, non capiscono molto di quel che fanno, non sanno perché funziona quando va bene, non sanno perché non funziona quando va male.
Un romanzo è una macchina per generare interpretazioni.
Chiunque può scrivere un romanzo di tre volumi. Richiede semplicemente una totale ignoranza della vita e della letteratura.
I romanzi finiscono col matrimonio dell'eroe con l'eroina. Bisognerebbe invece cominciare da questo, e finire che si sono separati, cioè liberati l'uno dell'altro.
I romanzi lunghi scritti oggi forse sono un controsenso: la dimensione del tempo è andata in frantumi, non possiamo vivere o pensare se non spezzoni di tempo che s'allontanano ognuno lungo una sua traiettoria e subito spariscono.