In queste parole emerge una critica forte alla morale comune e alle sue contraddizioni. Da un lato la società accetta come inevitabile la presenza della morte, che può colpire chiunque, in qualsiasi momento della vita; dall’altro condanna o guarda con sospetto la scoperta del corpo, del desiderio e della sessualità in età adolescenziale. Il confronto tra l’atto di amare e la possibilità di morire mette in evidenza un paradosso: ciò che dà vita, intensità e significato all’esistenza viene giudicato più scandaloso di qualcosa di tragico e definitivo come la morte. Queste parole riportano al centro il tema della libertà individuale, soprattutto quella dei giovani, e invitano a riflettere sul valore dell’esperienza, del piacere e dell’intimità rispetto alle norme sociali e culturali. La provocazione fa emergere l’ipocrisia di certi tabù, che spesso reprimono l’espressione affettiva e sessuale invece di educarla e accompagnarla. L’adolescente viene quindi rivendicato come essere capace di sentire, scegliere e vivere, non solo come qualcuno da controllare. Ne scaturisce un invito a dare più peso alla qualità e autenticità del vivere rispetto alla paura del giudizio, ricordando che il tempo a disposizione è incerto e limitato per tutti.