La morte è un'usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare.
Per non vedere non è obbligatorio essere ciechi o chiudere gli occhi.
Stampando una notizia in grandi lettere, la gente pensa che sia indiscutibilmente vera.
Il dubbio è uno dei nomi dell'intelligenza.
Una delle scuole di Tlön nega perfino il tempo: argomenta che il presente è indefinito, che il futuro non ha realtà che come speranza presente.
Io non parlo di vendette né di perdoni; la dimenticanza è l'unica vendetta e l'unico perdono.
La morte con tutta probabilità è la più grande invenzione della vita. Spazza via il vecchio per far spazio al nuovo.
Si dovrebbe, per amore della vita - volere una morte diversa, libera, consapevole, senza accidenti, senza incidenti...
Tutto è instabile, fallace e più mutevole di ogni burrasca: tutto è sconvolto e muta per i capricci della sorte: fra tanto variare delle vicende umane, la sola cosa certa è la morte; eppure, tutti si lamentano della sola cosa che non inganna nessuno.
La morte è un destino migliore e più mite della tirannia.
Non disprezzare la morte ma accoglila di buon grado perché anch'essa è un ente tra quelli che natura vuole.
La morte è l'assentarsi dell'eterno.
La morte è il male più grande, perché recide la speranza.
La morte s'avvicina, e il suo rumore: Fratello, Amico, Ombra, cosa importa? È la morte la nostra unica porta per uscire da un mondo dove tutto muore.
Il terrore della morte è dovuto all'incertezza di ciò che ci attende. La risposta è semplice e tranquillante: esattamente la medesima situazione di prima che fossimo.
Nella morte non c'è niente di triste, non più di quanto ce ne sia nello sbocciare di un fiore. La cosa terribile non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive fino alla morte.