Le due massime cause d'errore nei nostri rapporti con un'altra persona sono di aver buon cuore, oppure, quell'altra persona, amarla.

Marcel Proust
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La nostra interpretazione

Quando si è davvero legati a qualcuno, o semplicemente si possiede una naturale inclinazione alla bontà, il giudizio tende a offuscarsi. La generosità del cuore e l’affetto trasformano la percezione: si tende a minimizzare i difetti, a giustificare comportamenti discutibili, a interpretare i segnali nel modo più favorevole possibile. La persona amata viene posta al centro di una sorta di scena interiore, dove le sue ombre si attenuano e le sue qualità vengono amplificate. In questo processo, l’altro smette di essere visto per ciò che è davvero e diventa ciò di cui abbiamo bisogno che sia. L’errore nei rapporti nasce così dalla distanza fra la persona reale e la figura che costruiamo dentro di noi. Il buon cuore rende indulgenti, l’amore rende ciechi; entrambi ostacolano una visione lucida. Ne derivano incomprensioni, delusioni e sofferenze, specialmente quando l’investimento affettivo non è ricambiato con la stessa intensità o consapevolezza. Il paradosso è che proprio ciò che di più nobile abita in noi – il desiderio di bene, la capacità di amare – diventa la fonte principale di fraintendimenti. Non per cattiveria o malafede, ma perché l’amore tende a trasformare la realtà in desiderio, a costruire idealizzazioni che inevitabilmente, prima o poi, si scontrano con i limiti umani. In questa tensione tra visione idealizzata e verità concreta si consuma la fragilità dei rapporti più profondi.

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